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domenica 13 novembre 2022

Ilaria Palomba, Schubert, La morte e la fanciulla

È il desiderio di/vederti a condurmi oltre,/una linea sottile tra/il prima e il dopo./Non è un gioco, ma/tentazione vorace./Schubert, La morte e/la fanciulla, guarda la/mia danza.
Ilaria Palomba

 Ho letto molto di questa scrittrice e poetessa nel corso degli anni, mi sono appassionato alla sua scrittura tra romanzi che affrontano malesseri esistenziali, ossessioni, drammi, e poesie intense che sembrano scritte da qualcuno che ha vissuto in epoche lontane, differenti, con una sensibilità fuori dal comune.

Il suo pensiero riesce a squarciare l’animo di chi prova ad assaporare per qualche istante una delle sue opere letterarie, perché lei è così, vive, sente, trasmette ogni cosa donando completamente se stessa al dio avaro della scrittura, critica questa società spietata cercando di sopravvivere nei periodi più neri, forse per questo si trova nelle sue parole una chiara energia folgorante.

Non è nata in Francia come Marceline Desbordes Valmore ma possiede quella luccicanza tipica dei poeti francesi, perché proprio attraverso le sue oscurità Ilaria Palomba mette in atto una rivoluzione esistenziale capace di esorcizzare il dolore, di santificare le mille cicatrici dell’animo e del corpo, e anche attraverso le stanze di un pallido ospedale riesce a scrivere, a donarci con una spietata vena di sincerità la sua voce implacabile e vibrante: “mi trucco perché uscirò/non importa se stasera o tra sei/mesi – forse anche dieci – uscirò/e non avrò dolori che non siano/l’intimo dolore di aver perduto/persone di cui sembro essermi/dimenticata…”

Cosa avrebbe pensato di lei il sommo Charles Baudelaire, del suo grande talento poetico, del suo spleen? Sicuramente il Vate avrebbe scritto parole formidabili, senza nessuna esitazione. Ammetto di aver pensato a questo più di una volta quando qualche tempo fa ho saputo di alcuni sfortunati eventi che hanno colpito la sua vita.


Sono davvero convinto che l’opera di Ilaria Palomba merita tutta la nostra attenzione, uno sguardo vigile e attento, come lo hanno avuto (fin troppo in ritardo) scrittrici e poetesse assolute come Sylvia Plath, Antonia Pozzi, Sarah kane, Amelia Rosselli...e molte altre che come la stessa Virginia Woolf avevano il cuore in fiamme, sempre lei, diceva di avere “il cuore di un poeta intrappolato in un corpo di donna…” e sia chiaro, essere donna non significa essere meno poeta, anzi, significa percepire ed intuire ogni cosa moltiplicata mille volte tanto: “Chi sei tu? Chi sono io?/Vedo la macchina/nascosta sopra i corpi/a muovere i destini/fessure nella carne/spiragli.”

Le poesie che leggerete ci sono state donate dalla poetessa per questo nuovo appuntamento della rubrica “Poeti maledetti, Maledetti scrittori” rappresentano un corollario fatto di spine da sgranare tra le dita molto lentamente, resistete al dolore, lasciatevi trasportare da queste parole pungenti come punte di spillo, e ricordatevi, dobbiamo essere grati ad Ilaria Palomba per la sua dolce generosità:


Lunga degenza
Ilaria Palomba

Sei volte sei volte
quindicimila scarafaggi
questa stanza si muove
ma non per me
non sono io
le visioni si mischiano
al grido del passato
mi manchi, sai?
Chi sei tu? Chi sono io?
Vedo la macchina
nascosta sopra i corpi
a muovere i destini
fessure nella carne
spiragli. Sei volte
hai dubitato di Dio?
Dubitare di te è dubitare
del cosmo. Tutto è uno,
non vederlo, stupidità.

***

Di tanto in tanto mi trucco
per illudermi di esser fuori.
Fuori dalle punture di eparina
alle sette di sera, fuori dal
confronto con la mia schiena
o con la mia gamba – quale delle
due? – mi trucco perché uscirò
non importa se stasera o tra sei
mesi – forse anche dieci – uscirò
e non avrò dolori che non siano
l’intimo dolore di aver perduto
persone di cui sembro essermi
dimenticata, e altre che ho
asfissiato con una fantasmatica
invadenza. Non sono capace
di mantenere alcun rapporto
a partire da quello con me stessa.
Ricordi quando ci mostrammo le
cicatrici sui polsi? Guardammo
poi la folla ascoltando Purcell.
Tu sei tutti loro e da nessuna parte.
Cosa sto aspettando?


***

Dei suicidi non hanno pietà
anche se salvati restano
suicidi. Simili a viandanti.
Ho perduto amici e amanti
gravitando nelle sfere del
possibile io nell’invisibile
forse si salva chi giura di
averlo fatto in nome di un
sommo ideale. Io invece
non ho mai compreso il
motivo finale. Forse un
amore sfigurato in teschio.
Forse mi convocavano
dall’oltretomba, e non so
più definire il finito gronda
Inesorabile l’infinito.
Sono una sintesi sbagliata.
Un processo che non sgorga
nell’attesa. Un quarto di
donna, incagliata nella visione.
Non si perdona di scivolare
tra molteplici dimensioni.
Adesso ho un cuore cavo,
maneggialo con cura,
ho paura di sbagliare
e cercare ogni giorno
mani che non tocco.

La poesia di Ilaria non usa fronzoli, non si nasconde dietro architetture complicate, a pensarci bene in alcuni pensieri sembra esserci tanta desolazione, come dopo il crollo di una splendida cattedrale, resistono le macerie. Dopo tutto anche la Fenice risorge dalle sue ceneri, Post fata resurgo(dopo la morte torno ad alzarmi) così recita il motto, e nella sua resurrezione torna a bruciare di vita affamata ancora più di prima. È lo stesso augurio che facciamo a questa poetessa, la resistenza.

La sua scrittura non è mai complicata costruzione di testi o elaborazione complessa, è illuminazione, vocazione, offre alla vita di noi tutti i suoi dettagli quotidiani con un linguaggio che richiama alla pura salvezza, per lei e per noi tutti.

Le cicatrici bianche
a scolpire la pelle.
Una donna da
custodire scagliata
contro la tormenta,
senza confini e
senza sentimenti.

In ogni cicatrice un’altra
creatura. Resta questa
coscienza che tutte le
unisce. L’angelo riapre
le ferite, trova delle
fratture l’origine.
Adesso sono più simile
alle creature celesti,
più sola e disarmata.

***

Fuori da un letto d’ospedale
vorrei vederti, dicono. Oggi
un uomo mi ha chiesto se
mi sono defenestrata.
La vecchia M. bestemmia
a tutte le ore del giorno e
della notte, se la prende
con gli infermieri. Oggi
ho camminato e ho
pensato di dare un
esame. È il desiderio di
vederti a condurmi oltre,
una linea sottile tra
il prima e il dopo.
Non è un gioco, ma
tentazione vorace.
Schubert, La morte e
la fanciulla, guarda la
mia danza. Adesso non
ha senso svegliarsi;
in una densità deforme
provo ad abitare questo
corpo, per metà di
titanio, le articolazioni
gracili. Il suicidio è
il sommo errore. Tu
non decidi niente, e
ti svegli alle tre di notte
in un piano inferiore.

***

L’autunno è mutamento, nulla cresce
e nulla può prosperare nel fango.
Cosa siamo se non fango? Dove
si volge l’umano? Cosa preannuncia
il futuro? Saremo sbalzati via o
continueremo a soffocare il
pianeta? Nulla può dirsi di noi
se non l’assenza d’amore. Non
condannate l’impeto passionale,
condannate la catena alimentare.
La grande ingiustizia dell’essere
nati e, crescendo, scoprirsi
inessenziali, e in questo uguali.

Leggendo questi versi mi sono ricordato di un’altra grande poetessa, la cara Alda Merini, ho sentito gli stessi suoni ipnotici, l’emozione incandescente che si scatena durante la lettura della pura poesia, anche la Merini scriveva tra le pareti di un ospedale in quello che poi è divenuto il libro “Clinica dell’abbandono” parole intense e significative, come queste: “ho pagato con il sangue vivo questa mia vile dimora/dove abita il solco aperto di una curiosità di dolore/dove mani che cambiano il tempo che vuotano/le speranze/aprono strani confini…” Sono forse gli stessi confini quelli che hanno varcato queste due poetesse? Hanno in comune l’amaro vivere, la capacità di toccare a mani nude il cuore pulsante del lettore e di stringerlo forte, senza nessuna esitazione. Manca l'aria, certe volte manca il respiro quando ci si addentra nei sentimenti più reconditi della nostra esistenza, in pochi riescono a raccontarlo.



Recentemente Ilaria Palomba ha pubblicano una nuova raccolta poetica che vogliamo segnalare dal titolo “Microcosmi per i tipi di Ensemble edizioni, una raccolta con liriche sull’amore mancato, la solitudine, sentimenti profanati dalla quotidianità che non si rassegnano, un libro che garantisce ancora una volta emozioni uniche per chi riesce ad emozionarsi attraverso la parola scritta.


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