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mercoledì 4 gennaio 2017

NON È UN PAESE PER SCRITTORI

Gli scrittori italiani? Scrivono solo roba da serie B!” 

esordisce così L. Mascheroni  inviato de “Il Giornale” su un articolo che va in affondo sull'argomento, mettendo in luce i lati oscuri delle miriadi di pagine che tutti gli anni vengono stampate e pubblicate in Italia. 
Nasce spontaneo il paragone tra i grandi del passato del ‘900 come Svevo, Landolfi, o Soldati…e molti altri, che davanti a nomi come Volo, Carofiglio, Ferrante, Malvaldi, diventano dei colossi insormontabili, a testimonianza di un mondo letterario in continuo declino. 
Come spiegare tutto questo? Perché oggi ci dobbiamo accontentare dei libri di Moccia, e se vogliamo assaporare un vero capolavoro dobbiamo per forza prendere tra le mani un libro di uno scrittore straniero, magari un americano/a?    
Forse parecchio tempo fa abbiamo assistito ad un prodotto letterario “Bio”, una letteratura biologica italiana che via, via ha perso lo smalto, la forza di incidere a livello mondiale le passioni più comuni, quelle che i grandi classici hanno portato al cospetto di tutti i lettori con una semplicità unica nel suo genere. 
Abbiamo avuto Pasolini, Calvino, Ungaretti, Montale, Zanzotto, ma oggi ci rendiamo conto che nonostante una produzione letteraria da record(basta fare un giro sui social più cliccati di sempre) il livello degli autori esordienti che pubblicano con i grandi marchi editoriali è davvero molto basso.
La vena letteraria italiana ha subito un regresso? O forse tutte queste “nuove penne” hanno portato al sopravvento di una “letteratura di consumo e intrattenimento” la stessa che viene riversata tutti gli anni nei cinema italiani? Troppi dubbi, e troppe domande senza risposta. 
Ho letto diverse cose interessanti di recente come un saggio di Gianluigi Simonetti dal titolo “Declino e fine della letteratura” dove lo stesso autore per quanto riguarda la poesia e l’editoria afferma:
    “Se nella narrativa l’editoria rischia un eccesso di presenza, in poesia il rischio è opposto: ci sono pochissime grandi collane e una galassia sterminata di editoria piccola o piccolissima. Con un collasso di credibilità, poi. Dal mio punto di vista non c’è nessun parametro per cui la grande casa editrice pubblica un grande poeta e la piccola ne pubblichi uno modesto, come non c’è nessuna garanzia del contrario.
Il problema è che mentre è relativamente facile per un poeta accedere alla piccola o piccolissima editoria poetica, è quasi impossibile accedere alla grande, per la semplice ragione che ci sono tre o quattro grandi editori, che pubblicano un paio di titoli all’anno o poco più tra italiani e stranieri. Quindi semplicemente c’è una lista di attesa decennale. Nella piccola editoria si sarà pubblicati ma difficilmente si sarà letti – senza dimenticare che è possibile accedere alla grande e non essere letti ugualmente
Il problema è che mentre è relativamente facile per un poeta accedere alla piccola o piccolissima editoria poetica, è quasi impossibile accedere alla grande, per la semplice ragione che ci sono tre o quattro grandi editori, che pubblicano un paio di titoli all’anno o poco più tra italiani e stranieri. Quindi semplicemente c’è una lista di attesa decennale. Nella piccola editoria si sarà pubblicati ma difficilmente si sarà letti – senza dimenticare che è possibile accedere alla grande e non essere letti ugualmente

Un bivio terrificante, dove il risultato sembra sterile per tutte e due le direzioni. Mi viene naturale chiedermi Chi ci salverà da questo declino letterario? Lo scopriremo soltanto leggendo!

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