foto ritratto Pietro Pancamo |
Prima
di tutto ben venuto allo scrittore
e poeta
Pietro
Pancamo
in questa umile rubrica di poesia “Maudits”,
ovvero un piccolo spazio di poesia all'avanguardia che gira nei
meandri del web, delle biblioteche, delle librerie diciamo
underground alla ricerca di quei poeti, di quegli artisti che
nonostante non siano in voga negli ambienti letterari o ai primi
posti delle classifiche editoriali, si fanno sentire, e sopratutto si
fanno leggere.
La
prima domanda viene naturale, la mia curiosità è da cosa e dove
nasce il Pietro Pancamo poeta?
Caro
Fabrizio, premesso innanzitutto che rispondere alle sue domande sarà
un vero onore per me, le rivelo subito che in realtà sono un
prosatore precoce. Non a caso, da giovane, ho iniziato ben presto a
buttar giù (per
gioco, vale a dire per propensione naturale)
piccole novelle.
E
siccome il loro obiettivo principale è sempre stato quello di
lavorare intensamente sul linguaggio –così
da ottenere esiti in qualche modo simili a quelli della prosa lirica,
tipica dell’ultimo Pirandello (autore di cui regolarmente subisco
il fascino)–
ecco che intorno ai quindici anni si è originato spontaneo, in me,
il passaggio alla poesia. Ricordo che si trattò di un periodo molto
creativo: il mio cervello sfornava versi in co
ntinuazione, ad ogni ora, senza che io minimamente li cercassi o “propiziassi”.
ntinuazione, ad ogni ora, senza che io minimamente li cercassi o “propiziassi”.
Adesso
la poesia è una delle tante attività che scandiscono la mia
giornata di redattore tuttofare, impegnato senza sosta a scrivere
liriche e commenti critici o a correggere quelli degli altri, a
costruire e-book,
a trafficare con file audio di varie estensioni per tirarne fuori
sottofondi musicali, interviste o addirittura trasmissioni. Quindi se
oggi continuo a buttar giù strofe e componimenti, seppure assistito
da un’“ispirazione” non più torrenziale come prima, è per
lavoro, per abitudine e perché la poesia è ormai una vecchia amica
per me... e perderla di vista mi dispiacerebbe. Anzi, per legarmi a
lei in misura sempre maggiore, oltre che scriverla, la leggo. Fra i
miei autori preferiti, quelli (come ad esempio Leonard
Cohen)
capaci di ottenere, nei propri testi, una perfetta fusione fra ironia
e dolore.
Oggi ci sono così tanti poeti, forse come non c'è ne sono stati mai prima. Lei crede che il mondo abbia ancora bisogno di poeti?
Un
bisogno
tremendo,
ne sono convinto. Ma è necessario, a mio avviso, che i poeti si
scelgano un modello
preciso.
Che
cosa intende per “modello preciso”?
Beh,
sottolineato che quanto sto per dire è in buona percentuale una
provocazione
per denunciare l’involuzione morale che domina indiscussa il cuore
di troppi, fra i “rimatori”
di oggi, torno subito al mio ragionamento aggiungendo che una figura
di riferimento emblematica e consigliabile potrebbe essere, ad
esempio, Madre
Teresa di Calcutta.
Ovvero un’autentica eroina-scrittrice
dei
nostri tempi, la quale –oltre
a creare versi stupendi– lottava
ogni giorno, faticosamente e con ardore
straziato,
in nome della fede,
del mondo e della povera gente, facendo dell’abnegazione
la propria bandiera.
Madre
Teresa di CALCUTTA?! Il discorso si fa interessante vada avanti..
Ecco,
a tal proposito mi azzardo a ricordare che il compianto teologo
Sergio Quinzio
non cessava di ripetere che, per completare e rendere operante il
sacrificio del Messia,
ciascuno di noi è chiamato a salire sulla stessa croce di Gesù,
per
“inchiodarsi” come
Lui ad un supplizio salvifico e immane, ad una morte
“filantropica”,
materna...
e smisurata.
Lancinante.
Un
concetto sublime e insieme spaventevole (chi lo nega?!). Teresa,
tuttavia, l’aveva compreso sino in fondo: da qui la sua volontà
d’immolarsi per gli altri, quotidianamente, e di votarsi, per
soccorrerli, ad un olocausto
perenne,
che la discosta radicalmente da certi poeti
in cui, per disgrazia, mi sono imbatt
uto nella città di
Milano.
So per esperienza diretta che questi tizi avevano eletto la spocchia,
e di conseguenza l’egoismo,
a stile incontrastato di vita, tanto che pur di affermarsi e
garantirsi una carriera
brillante
in campo letterario, Eran pronti a calpestare chiunque (di
tendere la mano, d’offrirsi nobilmente e patire un po’, neanche a
parlarne!).
Va
da sé, che simili poeti risulteranno sempre inutili alla specie
umana: non potranno darle o insegnarle alcunché, per il semplice
motivo che hanno un’anima “brulla”,
“incolmabilmente”
arida. Ovvio, non che io sia molto più “santo”
di
loro, non che io mi martirizzi di continuo per aiutare il prossimo!
Perlomeno, però, lo rispetto.
O al limite ci provo...
Pirandello,
Madre Teresa di Calcutta, Leonard Cohen
Sono riferimenti letterari abbastanza fuori dal comune. Forse oggi
molti giovani poeti o novelli scrittori difficilmente potranno
coglierne tutte le sfumature in maniera completa, anche perché
possiamo notare i nuovi esempi che portano oggi radio e Tv, come
Fabri Fibra, Marracash,
personaggi che hanno tra loro un divario immenso a volte sia per il
linguaggio per le idee o per il messaggio che questi trasmettono ai
giovani oggi.
Ma
parliamo dei suoi scritti, la sua visione del mondo nella poesia “il
mondo analizzato”
sembra una perfetta istantanea di oggi, eppure molti non condividono
questa linea di pensiero.
Molti
scrittori o pseudo poeti prediligono versioni poetiche meno tragiche
o verosimili alla situazione attuale. Lei crede che quando un poeta
scrive
debba per forza dare diciamo, uno zuccherino al lettore, o meglio
addolcirgli la pillola?
Ai
bambini è più che giusto addolcire la pillola (come può
testimoniare, facilmente, anche
Mary Poppins).
Ma agli adulti –almeno in omaggio ad un particolare derivato, assai
bonario e alla mano, della lealtà (normalmente conosciuto col nome
di solidarietà)– bisogna pur dire che siamo tutti coinvolti
nella stessa tempesta,
che siamo tutti, insomma, sulla stessa barca. Quella di Caronte?
La morte è silenzio stonato, una frase stupenda dalla sua poesia “Decomposizione Psichica”. Alcuni frammenti dei suoi testi mi rammentano uno dei più grandi scrittori e poeti estinti, Cesare Pavese. Quest'ultimo rientra nelle sue letture quotidiane?
Di Cesare Pavese conosco diversi racconti, per averli letti con amore. Ma quando ho scritto “Decomposizione psichica”, ero sotto l’influsso di altri autori: io credo in sostanza che alla nascita di questa poesia abbiano contribuito, intrecciandosi e ricombinandosi variamente, suggestioni disparate provenienti da Baudelaire, da Edgar Allan Poe e dalla produzione giovanile (quella compresa fra il 1918 e il ’20) di Federico García Lorca.
Cosa stimola oggi Pietro Pancamo a scrivere poesie, ma sopratutto sono stati d'animo delle volte così pessimisti come nel caso di Poe o Baudelaire a dare vita a poesie immortali, assolute per l'immaginazione e per il sentimento come diceva il celebre Verlaine?
“Decomposizione
psichica”
si è materializzata nel mio cervello, mentre filavo in scooter per
strade marginali di campagna; “Il
mondo analizzato”
si è assemblata pian piano nella mia fantasia, mentre affrontavo a
passo di carica una micidiale scorciatoia in salita, che collega la
circonvallazione di Assisi
alla Basilica di San Francesco.
Senza contare che molte recensioni le ho scritte, sempre mentalmente,
camminando per le vie di
Roma o
attraversando a piedi i boschi che attorniano il paese in cui
risiedo. Eh già: sembra che il movimento mi ispiri. (Dovevo essere
futurista, in una vita precedente...).
Per
quanto riguarda poi gli stati d’animo, io penso che tutti
indistintamente –purché
forti, schietti e intensamente sperimentati–
possano
“scatenare”
la nascita di una poesia, di una lirica; nel mio caso, il metodo più
infallibile per suscitare l’insorgere di sentimenti così assoluti
è ovviamente il bravo scooter di cui sopra, certo, ma in particolare
l’esercizio fisico e, per l’esattezza, l’abitudine che ho di
marciare nei boschi, lungo sentieri ripidi e scoscesi: quando
cammino, infatti, a volte piango, a volte rido, a volte impreco, a
volte prego. Intendo dire, insomma, che l’adrenalina del movimento
spesso mi provoca uno sblocco emotivo, acuto e sincero, che
inevitabilmente mi porta a creare.
La copertina di "Manto di vita" Pietro Pancamo |
L(')abile
traccia è un percorso che spazia tra più canali, poesie serie,
semi-serie e poesie un po' più leggere. Da “
Manto di vita “
la sua raccolta pubblicata nel 2005 a quest'ultima cosa è cambiato
nel suo modo di scrivere o di porsi ai suoi lettori?
Per
la verità dalla prima silloge alla seconda non
è cambiato molto.
Lo prova il fatto che in entrambe le raccolte lavoro innanzitutto
sulla figura della similitudine, che mi consente di “escogitare”
significati nuovi, magari ironici e fantasiosi (o così mi auguro che
siano!).
Coi
lettori, invece, il mio rapporto s’ispira oggi ad una maggior
immediatezza. Anzi posso dire che è improntato, ormai, a un dialogo
aperto e genuino. Si tratta di una conquista cui sono giunto
(analogamente a tanti altri autori più o meno sconosciuti come me)
grazie ai blog,
ai forum, ai messaggi e-mail.
In sostanza, al progressivo e provvidenziale imporsi di
Internet.
7)Fino a poco tempo fa, molti sostenevano che la poesia fosse morta. Molti dei maggiori “poeti” di oggi hanno spesso compiuto delle crociate televisive come opinionisti del più e del meno, alcuni hanno addirittura portato la poesia nei cabaret volgarizzandola. Lei non crede che la poesia sia stata fin troppo abusata?
Concordo:
spesso gli atteggiamenti dei cosiddetti “maestri”
o “decani”
lasciano sul serio a desiderare, tanto che le crociate televisive
finiscono quasi sempre col rivelarsi niente più che un tentativo
alquanto
imbarazzante,
cui ciascuno di essi indulge, nella speranza di rivitalizzare,
davanti al pubblico di massa, non
la poesia in genere,
ma le proprie opere in particolare (magari qualche silloge uscita da
pochi mesi e già in affanno ai “botteghini”). Non c’è dubbio:
tessere gli elogi della Musa
solo in vista di un profitto personale (o meglio commerciale),
significa senz’altro abusare di lei e “stuprarla”
in diretta.
Però
che i
lettori
non le siano un granché affezionati,
è vero in fin dei conti. Si arriva così ad una grottesca
conclusione: il destino paradossale e dunque macabro della poesia,
potrebbe essere vuoi descritto, vuoi riassunto a meraviglia dalla
formula seguente:
abusata, ma non usata –laddove
“non usata” sta com’è ovvio per “non
letta”,
“non
frequentata”,
“non
impiegata”
nel modo giusto e più corretto (che sarebbe poi quello di provare a
diffonderla non per riempirsi le tasche, bensì per rendere
il mondo un po’ migliore e al contempo meno ottusa la mentalità
gretta di certi individui).
E'
stato un discorso interessante che ha spaziato tra la poesia, il
libero dialogo letterario e perché no anche la spiritualità, dato
il tenore del discorso e gli elementi citati. Ringrazio Pietro
Pancamo con grande stima,
per la sua gentilezza e la sua schiettezza nel rispondere alle mie
domande. Un autore che merita sicuramente la nostra attenzione data
la spiccata originalità e saggezza nell'esprimere in maniera
assoluta e immediata le sue idee e la sua acuta forma poetica.
Nessun commento:
Posta un commento