Translate

SEGUICI SU YOUTUBE

mercoledì 30 luglio 2025

Martina Smeraldi, la birra, il pudore (perduto) e il sindaco allegro



Dunque, accade che alla festa della birra del Luglio 2025 di Monserrato l’ospite d’onore non sia un poeta locale, un artigiano del luppolo o, che so, un cantante con chitarra e sudore. No. A benedire pinte e panini arriva Martina Smeraldi, pornostar cagliaritana dall’indubbio curriculum... cinematografico. E non è uno scherzo.
Ora, intendiamoci: non c'è moralismo in queste righe. O almeno non quello che piace stigmatizzare sui social, col solito ditino puntato contro i “bigotti”. Perché oggi, a quanto pare, se osi dire che forse alla sagra paesana non serviva proprio l’ospitata della regina del porno, sei automaticamente un retrogrado, un bacchettone, uno che "non capisce i tempi moderni". Peccato che i tempi moderni puzzino spesso di decadenza, e non quella affascinante di Oscar Wilde, ma quella stantia di un’umanità che ha scambiato la libertà per l’esibizionismo e la dignità per lo share.
Il sindaco, naturalmente, gongola: “Evento per tutti, grandi e piccini”, dice, magari brindando accanto a un cartonato ammiccante. E mentre lui si atteggia a progressista, chi solleva un sopracciglio viene liquidato come “medievale”. Ma non è medievale difendere un senso del pudore: è umano. È dire, sommessamente, che la sessualità può essere una cosa seria, privata, perfino sacra. È chiedere che le feste popolari, quelle che univano famiglie e generazioni, non diventino palcoscenici per la pornografia normalizzata.
Oggi, paradossalmente, essere sensibili è diventato un atto rivoluzionario. Oggi, De André non avrebbe scritto Bocca di Rosa. Perché non ci sarebbe nulla da scandalizzare. Nessuna stazione. Nessun parroco. Nessun marito cornuto. Solo applausi, like, selfie. Oggi gli ultimi non sono le “poco di buono”, ma quelli che provano ancora un po’ di disagio di fronte all’orgia collettiva del cattivo gusto. Gli ultimi siamo noi, quelli che si vergognano un po’ anche quando non c’è nessuno a guardarli.
Forse, chissà, De André oggi scriverebbe una ballata per noi. “Gli ultimi del pudore”, la canterebbe, chitarra in mano e sguardo triste. E direbbe che resistere in un mondo che ride mentre si spoglia dell’anima è l’ultimo vero atto di dignità.
Brindiamo pure. Ma a qualcosa che valga la pena.


mercoledì 9 luglio 2025

Gianmaria, l’eroe che non fece l’orale (e altre leggende scolastiche)



C’è chi ha saltato l’orale della maturità perché febbricitante, chi per un attacco di panico, chi perché il giorno prima aveva confuso il metadone con la camomilla. E poi c’è Gianmaria Favaretto, da Padova, che ha deciso di non presentarsi al colloquio dell’Esame di Stato per protesta contro un sistema scolastico “classista e borghese”. Un gesto che qualcuno – probabilmente in preda a una crisi glicemica – ha definito “rivoluzionario”.

Ora, fermiamoci un secondo. Davvero.

Un ragazzo non si presenta all’orale dell’esame, dichiara che lo fa per principio, e la stampa impazzisce: è il nuovo Che Guevara, dicono. Qualcuno tira fuori Pasolini, altri Pavese, e qualcun altro si azzarda perfino a scomodare Gramsci. Ma a guardar bene, il gesto di Gianmaria sembra più una scusa ben confezionata per evitare di parlare davanti a una commissione che – diciamolo – già fatica a distinguere tra Foscolo e Fedez.

Altro che rivolta ideologica. Questa non è rivoluzione, è pigrizia ben vestita.

Certo, la scuola italiana ha i suoi problemi: è vecchia, stanca, ogni tanto cade a pezzi, come certi professori che citano Seneca per poi non saper accendere un proiettore. Ma se vogliamo davvero cambiare il sistema, serve qualcosa di più solido di una rinuncia teatrale e un post su Instagram.

E poi, basta con questo ritornello stonato su “classismo e borghesia”. Ogni volta che uno studente inciampa in sé stesso, ecco che spuntano le parole magiche: oppressione, sistema, disuguaglianza. Sembra di vivere in un eterno laboratorio di sociologia, dove ogni atto viene analizzato con la lente del conflitto sociale. Ma no, ragazzi. A volte uno non fa l’orale semplicemente perché non ha studiato.

Intanto, mentre discutiamo se Gianmaria sia un profeta o un paraculo, i dati ISTAT ci sbattono in faccia una realtà un po’ meno affascinante: il livello medio di cultura tra i giovani è in calo, la comprensione del testo rasenta quella di un tostapane, e la lettura di libri cartacei è considerata una pratica esoterica, tipo il culto di Cthulhu.

Gli stessi ragazzi che oggi inneggiano a Gianmaria passano 12 ore al giorno davanti a uno schermo, cambiano idea politica ogni tre TikTok e credono che “La Fattoria degli Animali” sia un reality show con galline e influencer. Altro che rivoluzione: questa è la resa.

Volete fare davvero la rivoluzione? Cominciate spegnendo il telefono. Provate a leggere un libro intero – senza audio, senza sottotitoli, senza che vi appaia il faccino di uno youtuber che ve lo spiega con le emoji. Provate a pensare con la vostra testa, ma non per diventare martiri da social, bensì perché il pensiero critico non ha bisogno di essere “carino”, né “condivisibile”: ha bisogno di essere autentico.

Gianmaria non ha fatto l’orale. Bene. Nemmeno Bukowski l’avrebbe fatto, ma per motivi molto più onesti: avrebbe preferito andare a bere.

E forse sì, aveva più senso.



RACCISKY

domenica 15 giugno 2025

Wikipedia, l’Enciclopedia della Distrazione di Massa

“Si può eliminare facilmente una vera dittatura, ma è difficilissimo eliminare una finta democrazia.”


Un tempo considerata uno dei simboli dell’intelligenza collettiva, oggi Wikipedia ha perso buona parte della credibilità che l’aveva consacrata come la Bibbia digitale della conoscenza. Non è più una questione di singoli errori – sebbene continuino a emergere voci infarcite di date sbagliate, fatti distorti e personaggi inventati – ma di una deriva sistemica che ha trasformato l’enciclopedia libera in una piattaforma opaca, selettiva e a tratti manipolabile.

Un’illusione di neutralità

Dietro la facciata della trasparenza e della collaborazione, si nasconde una gerarchia silenziosa di amministratori e utenti “veterani” che esercitano un controllo quasi assoluto sulle pagine. Le regole esistono – neutralità, verificabilità, enciclopedicità – ma l’interpretazione e l’applicazione di queste linee guida sembrano spesso piegate a criteri soggettivi, se non ideologici. Ciò che vale per un utente, non vale per un altro. Ciò che viene cancellato in una voce, viene tollerato in un’altra.

La selezione arbitraria del “merito”

Uno degli aspetti più controversi è la selezione dei contenuti. Autori validi, studiosi riconosciuti, professionisti con una carriera consolidata vengono esclusi con la motivazione che “non sono enciclopedici”, mentre nel frattempo compaiono pagine dedicate a figure minori o a personaggi spinti da interessi promozionali. È difficile non vedere in questa dinamica un doppiopesismo che apre la porta a favoritismi e compromessi.

Un'enciclopedia con il copyright ideologico

La promessa iniziale di una conoscenza democratica si è trasformata in un campo di battaglia editoriale, dove spesso vince chi grida di più o chi è più abile nel maneggiare le “regole del gioco”. Le guerre di modifica, gli edit war, le cancellazioni lampo e le “pagine protette” sono solo alcuni dei sintomi di un sistema che non premia la qualità dell’informazione, ma la capacità di imporsi all’interno della community.

Il problema della visibilità e del potere

Wikipedia non è più soltanto un’enciclopedia: è una vetrina digitale globale. Apparire (o non apparire) su Wikipedia può avere un impatto reale sulla reputazione di una persona, un’azienda o un’opera. In questo contesto, non è raro che gruppi di pressione cerchino di influenzare la presenza online di sé stessi o dei propri “clienti”. Il rischio che l’enciclopedia venga usata come strumento di marketing occulto non è una teoria del complotto, ma una pratica documentata.

Conclusione: Wikipedia va sorvegliata, non venerata

Wikipedia resta una risorsa straordinaria, ma non è infallibile, né imparziale, né al riparo da manipolazioni. Trattarla come una fonte indiscutibile è pericoloso. Più che fidarsi ciecamente, occorre interrogarla, verificarne le fonti, conoscerne i meccanismi e denunciare le sue distorsioni. In tempi di sovrainformazione e post-verità, la conoscenza richiede vigilanza, non fede.