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venerdì 2 maggio 2025

Panizzi, il principe dei bibliotecari nella nuova traduzione di Roberto Rampone

Dopo quasi 200 anni dalla traduzione londinese, lo scrittore Roberto Rampone riporta in Italia, curata e tradotta, l'opera di Antonio Panizzi bibliotecario e bibliografo di fama internazionale.

Roberto Rampone, classe 1991, nato a Oristano, nella qual città ha compiuto i suoi studi diplomandosi, dopo aver avuto l’opportunità di girare diversi paesi del mondo per svago e per interesse personale, s’iscrive all’Università degli Studi di Firenze e si laurea prima in Filosofia nel 2017, poi in Scienze Archivistiche e Biblioteconomiche nel 2021. Sin da bambino ha una grande passione per la scrittura e per la musica, che coltiverà nel tempo, fino a giungere alle sue prime pubblicazioni con E.P.D’O: Contemporaneità (2010); La Nostra Storia (2012) e Grazie a una Storia (2014) tre libri che contengono quasi 200 poesie e che trattano argomenti eterogenei concernenti la vita quotidiana.

Durante la sua ultima laurea si dedica allo studio del profilo da letterato di Antonio Panizzi, più noto tutti come The Prince of Librarians poiché inventore delle nienty-one cataloguing rules, fautore del Copyright Act, ideatore della Round Reading Room della British Museum Library etc. 

In particolare Rampone si dedica devotamente alla traduzione dell’edizione panizziana inglese degli anni 1830-1834 dal titolo Orlando Innamorato di Bojardo; Orlando Furioso di Ariosto; with an Essay on the Romantic Narrative Poetry of the Italians; Memoirs and notes by Antonio Panizzi. London: William Pickering, 1830-1834. Ad aprile 2024 pubblica con l’editore Efesto di Roma il saggio Antonio Panizzi letterato: fra Bojardo e Ariosto e il primo di cinque volumi della traduzione dell’edizione londinese – i successivi quattro volumi che completano e riducono di ulteriori quattro volumi l’edizione inglese che consta di ben 9 volumi. L’opera viene pubblicata per la prima volta in assoluto in lingua italiana a traduzione e cura di Roberto Rampone dopo ben 194 anni da quella londinese, ed è sùbito presente al Salone del Libro di Torino.

L’edizione integrale di tale opera è finalmente disponibile in lingua italiana in 5 volumi con una tiratura di soli 300 esemplari numerati, preceduta da un volume introduttivo scritto di proprio pugno dell’autore, dal titolo Antonio Panizzi letterato: fra Bojardo e Ariosto anche questo della tiratura di soli 300 esemplari numerati. Quest’ultimo libro che di per sé è un vero e proprio saggio che spiega il perché dell’impresa titanica dell’autore per aver voluto ri-dare importanza a quest’opera finita nell’oblio del tempo della letteratura, cosa per la quale risponde che: 

«come Paese, l’Italia ha una cultura ed un bagaglio culturale al contempo esagerato, tra i più ricchi del mondo in specie se parliamo del libro antico, ovvero tutto ciò che va convenzionalmente inquadrato prima della data del 1830. Quest’opera l’ho voluta riportare in auge perché è un lavoro mastodontico di cui si occupò un grandissimo personaggio dell’Italia preunitaria di fine Settecento che perorò durante l’Ottocento la causa dell’Unità affinché si abbandonassero tutti i poteri forti dell’epoca, dannosi per gli stessi abitanti dei Regni e dei Ducati. Quest’uomo è Antonio Genesio Maria Panizzi, nativo di Brescello, che si laureò in Giurisprudenza nel 1818 e s’iscrisse alla Società dei Sublimi Maestri Perfetti – società segreta di mero stampo massonico che discendeva dall’Adelfia parigina del 1799 – motivo che fu causa della sua condanna in contumacia da parte di Francesco IV di Modena che da poco aveva ristabilito il potere Austro-Estense nel medesimo Ducato. Fu costretto, pertanto, alla fuga. Inizialmente andò a Cremona, per poi giungere a Lugano dove pubblicò un violento pamphlet che gli valse come biglietto d’addio per la sua terra d’origine, di conseguenza mosse per l’Inghilterra. Lì trovò altri esuli italiani dell’epoca, fra cui Giuseppe Mazzini e Ugo Foscolo che lo aiutarono a stabilirsi ed ambientarsi inizialmente a Liverpool per poi trasferirsi a London, nella qual città grazie al mecenatismo di Sir William Roscoe – personalità di tutto rispetto dell’epoca, alla quale dedicherà anche l’opera da me tradotta – riuscì a lavorare al London University College e poi entrare in servizio alla British Library. Qui cominciò verso la fine degli anni ’20 dell’Ottocento la sua magnifica carriera biblioteconomico-politica tanto studiata e riportata in decine e decine di pubblicazioni degli ultimi tre secoli. All’inizio degli anni ’30 cominciò il lavoro di quest’opera che venne pubblicata nel corso degli anni 1830-1834 che portò l’importantissima novità, mai fatta prima di allora, di unire in un’unica pubblicazione le due opere capostipiti del genere cavalleresco italiano L’Orlando Innamorato di Matteo Maria Bojardo e L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto preceduti da un Saggio sulla Poesia Romanzesca Italiana, volume introduttivo che traccia la cuna dell’epica cavalleresca contesa da sempre fra Galles e Bretagne ovvero Inghilterra e Francia chiamate per antitesi Great Britain e Little Britain, da cui ebbero origine il Ciclo Arturiano e quello Bretone. Saggio importantissimo che mette luce su tantissimi errori storici dell’epoca, inclusi perfino negli Orlandi e dei quali ne fa menzione lo stesso Panizzi, e soprattutto perché riporta una Tavola dei Paladini dell’Antichità a fine volume che mostra il lignaggio del Casato d’Este dal quale e per il quale gli Orlandi furono commissionati e scritti.

Un’opera di tale portata fino ai tempi di Panizzi non ebbe mai visto la luce, né gli Orlandi vennero mai pubblicati assieme, anzi, come lo stesso Panizzi avvisa nella Prefazione al vol. I, che la sua intenzione originaria era di “[…]pubblicare soltanto il testo del poema di LUDOVICO ARIOSTO; ma poi ho riflettuto che sarebbe, come in tutte le edizioni precedenti, un lavoro incompleto se non accompagnato dall’Innamorato di MATTEO MARIA BOJARDO, che è difatti l’inizio del Furioso, e in merito a ciò ho deciso di pubblicare entrambi i poemi assieme. Ero più prontamente indotto alla ripubblicazione dell’Innamorato, perché mi sembrava proprio ingiusto, che l’opera originaria di BOJARDO dovesse essere dimenticata. […] L’opera originaria di BOJARDO non è stata data alle stampe per quasi trecento anni, e nemmeno attentamente, le copie di essa sono sia rare che scorrette. Tuttavia, nessuna diligenza sarà risparmiata per presentare il poema, per la prima volta, in una maniera degna del suo autore, per liberarlo dalla colpa che appartiene più opportunamente al tipografo che a lui. Nel tentativo di creare un’edizione corretta, i miei lavori saranno coadiuvati dall’averla in mio potere per collazionare diverse edizioni di BOJARDO; un vantaggio per il quale devo la gentilezza dei possessori di due splendide collezioni di libri rari e preziosi, che, con estrema generosità, mi hanno messo in serbo cinque edizioni del poema originale di BOJARDO.

Lo scrittore Roberto Rampone

Se si pensa ai mezzi che l’epoca offriva, fu un lavoro d’una mole veramente inimmaginabile. Solo trovare le fonti che potevano servire a Panizzi per confutare la correttezza di quanto asserito da altri dotti e meno dotti delle epoche passate e contemporanei a lui stesso è stato indubbiamente un lavoro immane. Perciò, per rendere omaggio all’alta letteratura della nostra bella Italia ho voluto tradurre questo testo che da ben 194 anni dalla pubblicazione londinese era nuovamente finito nel dimenticatoio e in Italia non era apparsa questa pubblicazione sotto nessuna forma. Prima di me – non posso che citarlo e con grande onore – si occupò di quest’opera il celebre Poeta Giosuè Carducci, per scopi prettamente personali in preparazione ad esempio del suo saggio Su l’Orlando Furioso per il quale tradusse alcune parti della Life of Ariosto inclusa nel vol. VI dell’edizione inglese e della Life of Bojardo del vol. II per altri studi.

domenica 5 gennaio 2025

Alberto lecca, O Capitano , mio Capitano!

C'era un tempo che, come l’aurora nobilmente m'incitava, così il tramonto mi portava sollievo. Ora non più. Questa bella luce non mi rischiara più, ogni bellezza mi è d’angoscia, dacché non posso più goderla. Dotato della percezione superiore, mi manca la bassa potenza di godere: sono dannato così nel modo più sottile e più perverso; sono dannato in mezzo al Paradiso!”
Herman Melville

Alberto Lecca classe 1961, non ha certo bisogno di presentazioni eclatanti, sono in tanti a conoscere le sue straordinarie performance poetiche sotto lo pseudonimo del Capitano Al Kellerman, un nome che fin dagli albori ha riscosso grandi successi, che ha calcato i maggiori palchi teatrali della sua terra diffondendo la leggenda del cormorano pazzo, Blue Blues.

Kellerman è uno dei maggiori poeti contemporanei della Sardegna, le sue tribolazioni poetiche nascono dalla solitudine delle ballate sul silenzio del mare. La sua scrittura ha come riferimento i vascelli di Coleridge, l’orrore di Kurtz, la navigazione maledetta di Achab; una rotta segnata da anni di riflessioni fondaleggianti attraccate alla salsedine delle nebbie verso i porti del baratro.

Nel corso della sua vita questo Capitano impavido ha dovuto affrontare i suoi dannati mostri marini, ha combattuto contro le avversità della vita, contro delle situazioni così difficili che lo hanno portato a perdere quello che di più caro aveva . Eppure il Capitano Kellerman non ha abbassato la testa, ha combattuto i dolori dell’anima, domando per l’ennesima volta il suo dolore fisico, non si è mai fatto spezzare, non si è mai dato per vinto!

Il suo Magazzino non era soltanto un negozio di autoricambi, perché la poesia nella sua vita non è mai stata qualcosa di decorativo o auto celebrativo, ha sempre fatto parte di tutta la sua intera esistenza, in ogni campo.

Quel posto, che sembrava davvero l’interno di un antico galeone spagnolo, è divenuto una memoria storica assoluta che da prima degli anni ottanta, gestito in collaborazione(oltre 30 anni) con poeti come Roberto Belli, dal punto di vista culturale e poetico,  fino a qualche tempo fa, è servito anche a catalogare decine e decine di libri, eventi, riviste e autentiche chicche che riguardavano il movimento poetico contemporaneo di autori italiani e stranieri che hanno attraversato il cammino di questo poeta. Alcuni visti e vissuti in prima persona come Gregory Corso, Jack Hirschman, Agneta Falk, Rino Sudano, Pedro Pietri, Lawrence Ferlinghetti, Marc Porcu e molti altri. Indimenticabile la sua collaborazione con il poeta “Rosso” Hirschman, amico intimo, che ha tradotto le poesie di Alberto Lecca e ha preso parte a diversi spettacoli di poesie insieme a lui, proprio in Sardegna. Anche la collaborazione con Macchina Amniotica un gruppo dai richiami al punk americano, al post-industrial, alle opere di personaggi letterari come William Burroughs, alle potenzialità dell'elettronica. Collaborazione storica con i membri Arnaldo Pontis e Roberto Belli che dura ancora oggi attraverso l'accompagnamento musicale della Brigata Stirner

Le sue incursioni poetiche, durante i reading organizzati dalla redazione di Erbafoglio, rivista di cultura poetica che dirige dal 1988, sono delle vere e proprie opere poetiche in movimento che vengono in gran parte improvvisate al momento, accompagnate, quasi sempre da una musica guidata dai gruppi citati in precedenza o intervallata dal Jazz live di musicisti come Piero Di Rienzo, scomparso qualche tempo fa, da esperti musicisti e cantautori come Stefano Giaccone, che ha partecipato in prima persona proprio per gli eventi legati a Blue Blues.


Non Importa Essere In Pochi
Importa Essere Intensi
Non C’è Stato Niente Da Fare...

Quanto Tempo
Ho Trascorso Qui Dentro?
È Quasi Tre Anni
Che Sono Dentro Di Me
E Mi Sono Ritrovato
Su Queste Due Ruote
A Perdere. A Sognare. A Scrivere.
A Distruggere Lentamente.
A Comporre. A Cercare Suoni Nel Silenzio.
Nel Silenzio. A Distruggere Letteratura.
A Cercare Di Costruire Letteratura.
Mi Sono Chiesto Questo E Tanto Altro
Ma Non C’è Stato Niente Da Fare
Troppa Bonaccia Stasera.
Troppa Bonaccia Stasera.
In Navigazione Sento Molto Lontano
Il Rumore Del Mare. Lo Sento Lontano
Ma È Sempre Stato Dentro Di Me.
Stavo Forse Meglio Quando
Non Avevo Il Senso Di Una Ruota?
Stavo Forse Meglio Quando
Ero Un Uomo Senza Profondità?
Non Lo Sò. Non Lo Voglio Sapere
Stavo Forse Meglio Quando
Non Avevo Il Senso Di Sconfitta?
Non Avevo Il Senso Di Achab.
Non Avevo Il Bob di Parker.
Di Coltrane, Il Senso Kurtz.
Orrore. Orrore. Orrore.
Siamo Gli Uomini Vuoti.
Gli Uomini Impagliati.
Non Avevo Nulla Di Tutto Questo.
Il Senso Della Sconfitta
Non È Un Utopia. Un Tumore.
Un Male Incurabile.
Il Senso Della Sconfitta
È Un Arrembaggio. È Un Arrembaggio…

Parte di una poesia improvvisata il 28/11/2024
durante un readig di Presentazione della rivista Erbafoglio a Cagliari


Dopo la chiusura fisica del suo Magazzino, Alberto è divenuto lui stesso un magazzino umano urlante, un’enciclopedia storica vivente, capace di emozionare tutto il pubblico con la sua sincerità disarmante, specialmente, quando racconta il suo vissuto, le sue esperienze artistiche, le passioni letterarie e musicali. Non ho mai conosciuto un migliore performer delle sue opere, perché è proprio lui a divenire l’opera d’arte principale.

Ho conosciuto Alberto Lecca grazie ad un altro importante poeta sardo, Michele Licheri, un amico inseparabile del Capitano. Ho riscoperto e assaporato le sue arcane poesie attraverso il libro Blue Blues – Lacrime profonde di un malinconico cormorano pazzo, Cuec, (1999) Una raccolta poetica incredibile, molto moderna per il periodo, che ha anticipato, anni luce, il modo di pubblicare e intendere la poesia contemporanea, grazie al suo formato dinamico che unisce immagini fotografiche, opere artistiche figurative alla qualità dei suoi testi. Anche la musica gioca il suo ruolo fondamentale dentro un perfetto equilibrio attraverso la sua poesia, il suono come metafora della carne inebria e avvolge nella sua dolcezza straziante il ritmo incalzante di un mare sconfinato. Antonello Zanda nella postfazione del libro scrive: « Quella di Alberto Lecca si afferma come poesia assoluta. O forse sarebbe meglio dire poesia che è dominata dalla tensione dell'assoluto.»  

lunedì 4 novembre 2024

Jonathan Rizzo, Bohemian Blues man

"Me ne andavo, i pugni nelle tasche sfondate;
E anche il mio cappotto diventava ideale;
Andavo sotto il cielo, Musa! ed ero il tuo fedele;
Oh! quanti amori splendidi ho sognato!"
Arthur Rimbaud 

La prima volta che ho scritto sul Jonathan Rizzo poeta, non ho potuto fare a meno di citare il principe della poesia Arthur Rimbaud, più precisamente “Testa di fauno”: «Un fauno attonito mostra i suoi due occhi\E morde i fiori rossi coi suoi denti bianchi\Brunito e sanguinante come un vecchio vino\Il suo labbro scoppia in risate sotto i rami...» Questi versi danno l’idea di libertà dell’immaginario, della visione irreale e poetica che emerge anche nei versi del poeta parigino di origini elbane.

Cresce e studia a Firenze fino alla Laurea magistrale in Scienze storiche, ha scritto e pubblicato gran parte delle sue opere tra Bologna, Firenze e Parigi. Nel 2016 dall’Italia si è trasferito in Francia per scrivere il suo primo libro, L’illusione parigina. Poeta e narratore, autore prolifico, con Ensemble ha pubblicato le raccolte poetiche: La giovinezza e altre rose sfiorite (Ensemble, 2018) e Le scarpe del Flâneur (Ensemble, 2020). Le poesie che prenderemo in considerazione in questo articolo sono tratte da I Blues, un volume che conclude la “Trilogia dell’Innocenza”.

Più di una volta nei suoi versi si è definito come un’anima vagabonda dal pensiero errante che fa della sua passione un “prezioso” tentativo suicida: «Ho un impegno con me stesso,/sono appena all’inizio/di un prezioso processo/di autodistruzione... Se vedo costa/se tocco riva/devio senza sosta,/mi faccio male ad arte.»

I componimenti contenuti nella raccolta di poesia I Blues, editi Ensemble, Roma (2023) sono poesie per senzatetto, senza amori a cui impiccarsi, ballate irriverenti che si sciolgono al sole come orologi cocenti, futuristici, fanno il verso ai Blues di Kerouac «da leggere così, senza la pretesa di una presa logica sul senso delle cose» come scrive Marco Incardona nella prefazione.

In questo terzo atto poetico definito dall’autore stesso Trilogia dell’innocenza, il poeta lotta, mastica e sputa poetiche taglienti come lame di rasoio: «A volte ai bambini/ bisogna mentire/per tenerli buoni./Questo fanno gli adulti…»

Cos’è la pazzia, se non una forma suprema di intelligenza, pazzo come l’Orlando questo poeta, pazzo di vita, affamato di emozioni al punto che si ritrova a vagare durante le sue notti insonni a caccia di fantasmi maliziosi che divorano la nebbia tra le ombre dei vicoletti Parigini.

I versi raccolti in questa pubblicazione sono istantanee irripetibili, sogni abusivi che fanno riferimento al genere blues alla frase «to have the blue devils(avere i diavoli blu)» un modo popolare di un tempo passato per dire: essere triste, agitato, depresso, espressione che fu coniata nel XVII secolo, che indicava uno stato di agitazione febbrile dovuto all’alcol.


Un colpo di genio

Ci vorrebbe un colpo di genio.
Non è una citazione cinematografica.
Sento spesso attorno
un grado di sfiducia insopportabile.
Quello è il segnale di come sia nel giusto.
Più persone si oppongono ad un desiderio
e maggiormente si deve prendere coscienza
della bontà nel desiderare.
Ma servirebbe proprio un colpo di genio,
mi sento così solo.
Stasera i miei blues bruciano incenso,
mica paglia e fieno.
Ho perso la casa,
la quinta quest’anno,
tre a Parigi, una a Bologna e quest’ultima fiorentina.
Le radici intanto rimangono ad affogare nel salmastro
elbano[...]

 

Jonathan Rizzo, Poesia da I blues, Ensemble, 2023