Un'abbondante raccolta di poesie, un succulento pasto. Il pasto del
corvo.
"Il mio occhio vigile ti assale / mentre discendi da un bosco
tetro“; sono nere le mie piume / come il manto della morte / è il mio
colore". Il corvo attende, come l'aquila di Prometeo ha un pasto sicuro:
il poeta è incatenato ad un imperativo interiore; scriverà, intingendo
la penna nell'anima, nel dolore e nell'estasi, nella noia e
nell'assenzio, nell'amore e nella contemplazione.
Leggendo le poesie del
Raccis, si è un po' come il corvo, sicuri che alla fine scriverà,
perché è ineluttabile, perché il poeta non può esistere in forma
diversa. Egli lo sa, si riconosce ontologicamente poeta e scrive
vivendo, nelle forme e nelle ispirazioni più varie; come chi attraversa
un ghiaione, sdrucciola, ogni volta suo malgrado, nella poesia,
trascinato dalla valanga che egli stesso provoca. Talvolta i temi sparsi
ricordano penne strappate a viva forza; nere come la morte, ma lucide,
come la fedeltà a se stesso, il distacco da ogni cromatismo o servilismo
espressivo.
Nella foto: Raccis Fabrizio |
La poesia del Raccis non è indulgente; raccoglierla vuol
dire esserne contagiati, divenirne complici. Si ha, è vero,
l'impressione di una certa pigrizia nello spiccare il volo; ma è sicuro,
volerà con ali possenti, quando il corvo vorrà.
Il pasto dei corvi - La Recensione di Nicolò Gueci su Il milibro.it
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